Giovannino Carrano, erede di una famiglia di maiolicari vietresi, nasce a Vietri nel 1913 e dal 1927 lavora come apprendista presso la manifattura "I.C.S." di Max Melamerson.
Nel 1947 lascia la "I.C.S." per trasferirsi alla manifattura vietrese "C.A.S."
di Vincenzo Solimene e dopo alcuni anni apre, per un breve periodo, un proprio laboratorio rilevando i locali della manifattura "Cioffi" invia Scialli a Vietri sul Mare.
Negli anni successivi inizia il suo lungo rapporto con la manifattura "Pinto"
, di proprietà prima di Vincenzo Pinto e successivamente dei figli Raffaele e Giovanni
, rivelandosi uno dei più importanti maestri ceramisti della scuola vietrese.
Giovannino Carrano muore nel 1982.

 

"È stato uno dei più grandi nel lavorare la ceramica. Il suo diminutivo divenne un marchio di qualità"

di VITO PINTO

 

"“Sono stato senza fanciullezza, privo di ogni divertimento" ricordava, in un suo scritto, Giovannino Carrano quando ormai era un artista apprezzato per quelle sue ceramiche che invogliavano alla contemplazione di un'armonia in movimento. Aveva iniziato a lavorare ad appena 14 anni e forse per questo era stato sempre chiamato Giovannino, un affettuoso diminutivo col quale firmava i suoi lavori. Raccontò che era il 1927 quando andò a lavorare alla fabbrica di Max Melamerson: l'imprenditore tedesco aveva da qualche mese fittato la vecchia fabbrica dei Della Monica a Marina e di quel ragazzo gli aveva parlato "un vecchio pittore faenzaro". Fu messo alla prova, ma bastò poco: con naturalezza aveva fatto scivolare sulla ceramica memorie antiche, disegni colorati, tracciati sin da piccolo su fogli quadrettati appesi sotto le volte a crociera della bottega da calzolaio del padre. In alcune note del 1977 scrisse: "Avevo occupato il lato destro della bottega e lì disegnavo per giornate intere. Avevo collocato i miei disegni uno vicino l'altro, fin sotto la volta, come un grande mosaico di quadri grandi e piccoli". Riprendeva immagini del suo circondario, di Marina con la spiaggia, gli scogli, le case, la chiesa. La pittura era stata sempre il grande sogno di Giovannino, pensava di frequentare l'Accademia di Belle Arti, ma le contrarietà della vita non gli permisero di andare oltre la quinta elementare: la ceramica di Vietri, però, aveva acquisito uno dei suoi più importanti esponenti. Su pannelli, riggiole singole e piatti, Giovannino raccontava miti, leggende, fede e vita quotidiana del suo paese.

Aveva nove anni quando nella bottega del padre capitarono Günther Stuedeman e Richard Dölker, che fu subito attratto dai disegni del piccolo figlio del calzolaio tanto da acquistare una Madonna in cornice, pagandola dieci lire. Poi invitò Giovannino nella sua faenzera dei Cioffi a Marina: "Lo andai a trovare un pomeriggio e mi piacquero molto i suoi lavori, però non pensavo mai di fare il ceramista". Anni dopo alla ICS, dove già lavorava il giovanissimo Carrano, arrivò Dolker quale nuovo direttore di fabbrica. Per l'artista tedesco ritrovare quel ragazzo fu una bella sorpresa e subito lo nominò capo pittore, ben conoscendo le sue capacità di dominare i colori e anche i pennelli ceramici. Alla ICS trascorse nove anni, ricordati sempre con grande affetto, anche se aggiungeva: "Pur essendo un grande imprenditore, Melamerson aveva un grande difetto: quello di non pagare con regolarità gli operai". Così nel 1935 si trasferì alla fabbrica D'Amico a Molina, promettendo, però, alla signora Melamerson, che non voleva che andasse via, di ritornare appena si fosse presentata l'occasione: questa ci fu pochi mesi dopo. Al suo rientro Giovannino trovò Guido Gambone, che lo aveva sostituito come primo pittore. E fu subito intesa come può esserci solo tra artisti veri, pur nelle diversità di linguaggi. Un sodalizio d'arte che, per un breve periodo, continuò anche a "La Faenzerella".

Giovannino Carrano era nato il 9 febbraio 1913 a Marina di Vietri, un'abitazione vicina alla chiesa parrocchiale di S. Maria di Porto Salvo; con la puntualità che lo contraddistingueva, aveva annotato: "Era domenica, alle ore 11". Una puntualità che mostrava soprattutto nel suo lavoro. Ricordava don Vincenzo Solimene: "Nel suo silenzio, che era studio e professionalità oltre che carattere, Giovannino realizzava delle cose splendide. Parlava poco, anche se con lui lavorava l'esuberante "Ninino" Pecoraro, un bravo pittore di paesaggi".

Pur formatosi nella frequentazione di quegli artisti mitteleuropei che a Vietri diedero vita ad una bella stagione ceramica, Giovannino non si fece mai influenzare da certi stilemi che non gli appartenevano e che erano stati inseriti nella produzione vietrese. Anzi, fu il traghettatore dal periodo colto, ma statico, della produzione "tedesca" a quella, ugualmente colta, ma in movimento, del periodo post bellico. Basti guardare la fontana di fronte alla fabbrica di Soleri per capire il dinamismo ceramico di Giovannino.

La guerra, la fuga dalla storia del nucleo di artisti tedeschi, gli internamenti cambiarono molte cose e molti rapporti. Così Giovannino, nel 1947, andò a lavorare dai Solimene, che avevano intuito quanto fosse necessario stabilire nuovi codici imprenditoriali: e fu la fabbrica di Paolo Soleri. Giovannino era lì, in quella grande prua di nave, a tracciare il suo quotidiano linguaggio con l'arte della ceramica. Tentò, poi, di realizzare il sogno di una propria bottega: un'esperienza durata poco. Ed ecco l'ultimo approdo. Era tra il 1958-59 e Don Raffaele Pinto, uomo di intelligenti capacità imprenditoriali, lo accolse con immediatezza, lasciandogli campo libero, quello che sa di rispetto per l'arte. Così lo ricordava: "Riservato, quasi taciturno, se non interrogato difficilmente si distraeva dal suo lavoro, dal suo mondo di segni e colori. Inoltre era un uomo calibrato. Non eccedeva in niente." Per questa fabbrica, Giovannino realizzò, nel 1977, il grande "racconto graffito" che riveste l'edificio nei due lati esterni a fronte strada. Un "testamento" pittorico a futura memoria storica ed artistica di Vietri: la chiesa di San Giovanni e il pescatore solitario, la tirata delle reti e l'uomo sul carretto, le donne alla fontana, quella con la capretta e quell'altra che si trattiene col "monaco di cerca", e infine i cani inseguiti dalla lepre a richiamo di contrappasso. Per 55 dei suoi 69 anni, Giovannino aveva guardato e dipinto, nelle varie stagioni della loro storia, gli uomini con i loro amori ed affanni, le cose nel loro evolversi, il mare e la sua storia antica e di oggi, la terra con l'immensa generosità, restando sempre fedele al suo banchetto di artigiano. Sapienza e memoria di una civiltà fatta di argilla!

Giovannino Carrano dopo una breve malattia, il 19 marzo 1982 lasciò per sempre i colori, la ceramica, un mondo di intimità con l'arte e il mito, i suoi spazi "soffusi di ordinate atmosfere"."

 

tratto da "la Città di Salerno" del Gruppo Editoriale L'Espresso SpA, Salerno 17 maggio 2015 - a cura di VITO PINTO