Ceramista nato a Faenza nel 1907, Luigi De Lerma, dopo essersi formato nelle manifatture ceramiche della sua città e una breve esperienza a Vietri presso la fabbrica di ceramiche "Fontana Limite", grazie ai contributi del governo italiano per le colonie, nel 1929, insieme a Dario Poppi, fonda a Rodi (Grecia), la manifattura ceramica "Icaro", che rimane attiva fino al 1943.
Luigi De Lerma nel 1931 sposa la ceramista di origine olandese Sophie Van Stolck già sua collega a Vietri nella faenzera di Gunther Studemann e nel 1935 si trasferisce in Olanda, a Groenekan, dove apre con la moglie un laboratorio di ceramica e prosegue la sua attività fino al 1965, anno della sua morte.


“AAA approposito del tempo a cavallo degli anni venti-trenta, di cui “Quegli affreschi distrutti nel castello dei Cavalieri a Rodi … di Pietro Gaudenti… ”, recentemente visti su questo blog, mi piace qui segnalare, sul versante del prodotto di gusto artistico, la vicenda della fabbrica I.C.A.R.O. Rodi (Industria Ceramiche Artistiche Rodio-Orientali), una manifattura ceramica attiva, appunto a Rodi, durante l’occupazione italiana. “Fondata nel 1929 da alcuni ceramisti faentini tra cui Luigi De Lerma, già attivo presso la “Fontana Limite” di Vietri sul Mare e Dario Poppi anch’egli già a Vietri presso la “Avallone”, realizza una produzione di ceramiche per l’arredamento dai decori orientaleggianti, spesso ispirati a motivi Iznik, oltre a manufatti di impronta déco e nuovo popolare mix mediterraneo. Tra i collaboratori della manifattura, che rimane attiva fino al 1944, ricordiamo, a partire dal 1931, l’austriaco Gunther Studemann, anch’egli reduce dall’esperienza vietrese, Sophia Van Stolk, olandese, moglie di Luigi De Lerma e il pittore austriaco Hegor Huber.”

Come si vede da questa succinta scheda (che sta in rete), nelle fondamenta di ICARO-Rodi, c’entra molto Vietri sul Mare e c’entra molto Faenza, perché di questa città-regina della ceramica erano i due fondatori.
Andò così, più o meno, se vi pare (e se vi è dispari): nel 1927 la famosa ditta Avallone di Vietri sul Mare, volendo forse salire di livello e quotazione d’arte, si rivolse al Museo delle Ceramiche di Faenza (con allegate scuole e officine dell’Istituto d’arte) richiedendo un maestro della pittura decorativa su maiolica. Fu così che questo Istituto faentino, vero e proprio smistatore di talenti (fu questa una sua funzione, almeno fino al ’68), spedì a Vietri sul mare, “alle soglie dell’inferno africano”, il giovane Dario Poppi, di cui sopra.
Questi la sapeva bene in fatto di decoro, in fatto e fotti di ornati e di finezza di lavorazione. E di questa maestria faentina del Poppi c’è ancora traccia e pubblico godimento a Vietri, nei decori delle tabelle maiolicate indicanti la ditta Avallone (oggi negozi di vendita) che stanno nella piazza di Vietri sul mare. Forse c’è qualche immagine in rete, non lo so.

A Vietri però l’aveva preceduto un altro faentino, il De Lerma, appunto, sempre di cui sopra e sotto, che lavorava già alla maniera sintetica dei cosiddetti “tedeschi”, nel laboratorio di Studemann. Perché in quel tempo a Vietri, udite, udite, senza fondi europei, senza soldi, con un po’ di pane e molto amore & fantasia, si stava facendo, dentro la fabbrica diffusa vietrese, a costo zero per il pubblico erario, una ceramica mediterranea nuova e sovranazionale, una ceramica europea, un racconto popolare. Che con l’arte alta, con quella dalla febbre alta, ad esempio con il futurismo, con le applicazioni balneari degli artisti fine arts all’Albisola di quello stesso lasso di tempo, non c’entravano assolutamente nulla.

Era un altro esperimento, più remoto e defilato, più esclusivo. Su un terreno più scivoloso e equivoco, quello dell’incontro con il popolo basso delle arti lavoranti delle faenzere. Era quindi un’altra via, radicale e “rustica”, in qualche modo pedagogica e peda-logica, intessuta di sogno espressionista, della quale s’accorse presto il rapace e capace Gio Ponti, che la sostenne sulla sua Domus, La casa Bella, Stile, Triennale, ecc… ecc ..

Anche il modesto Dario Poppi se ne accorse subito, però. Capì che quei ruspanti cafoni vietresi mixati dai “tedeschi”, con quei loro forni ceramici “alti come case” posti alle soglie dell’inferno, stavano più avanti; stavano facendo un esperimento di nuova antropologia, di nuovo impasto delle terre europee, di nuovo racconto popolare, … e perciò se ne voleva ritornare subito a Faenza, col primo treno: non aveva nulla da insegnare a quei cafoni là delle faenzere, ma avvenne che … basta, stop, fine della puntata, …
… il resto della memoria di Dario Poppi ve la leggete, se lo trovate ancora su qualche bancarella, nell’appendice dei documenti del mio eroico “Gambone, la leggende della ceramica”, Tullio Pironti editore – Napoli, 1991, pp. 161- 174. Molti disegni e immagini della produzione Icaro-Rodi invece corredano il testo del bel libro-manuale di Cosimo Ettorre “Come dipingere sulla ceramica”, Casa editrice l’artista moderno, Torino, 1936 e successive edizioni, fino al 1961, libro oggi introvabile.
Ma non spaventatevi: c’è mammavuebb che provvede! Molte immagini delle produzioni ICARO sono infatti oggi visibili (e utilmente acquistabili), in rete. Le più interessati (per me) sono quelle che testimoniano il passaggio da Vietri alla “tedesca” e la sua pennellata veloce e felice, già sperimentata a Napoli nel ‘700. Qui a Rodi ben mischiate a motivi Iznik liberamente totoisti faentini & turco-napolitani. Saluti ceramici” - di Eduardo Alamaro.