Nacque a Bosa in Sardegna il 1° apr. 1889 da Salvatore, commerciante di tessuti e da Giuseppina Masia.

Era quarto di otto fratelli, tra i quali Olimpia, Federico e Pino che ugualmente svolsero mestieri d’arte. Sono scarse le notizie sulla sua formazione, che probabilmente si svolse accanto a Emilio Scherer, pittore parmense allievo di Domenico Morelli, lungamente attivo, dopo un soggiorno in Africa, nella decorazione di chiese e palazzi a Bosa e dintorni.

Il talento naturale del giovane Melis, sostenuto anche in ambito familiare, gli valse nel 1909 un sussidio municipale per recarsi a Roma a studiare. Qui Melis s'iscrisse alla Scuola libera del nudo dell’Accademia, ma frequentò anche una scuola serale di disegno e, soprattutto, lo studio di Duilio Cambellotti, maestro che si rivelò decisivo nella sua educazione critica e formale. L’ambiente romano gli offrì presto alcune opportunità: subito fu impiegato come disegnatore presso lo stabilimento di arti grafiche "Fratelli Palombi", inaugurando così quella carriera multiforme e intraprendente di grafico, disegnatore di oggetti, allestitore di mostre, ceramista, oltre che buon pittore, che ne caratterizzò l’opera e la vita. Tra le prime prove vanno annoverate le illustrazioni del volume di poesie Primavera sacra del sassarese Mariano De Fraja (Rocca di San Casciano 1913), con tavole che rivelano i debiti di stile contratti con Cambellotti, ma anche con Francesco Ciusa; la decorazione a soffitto di casa Naitana a Bosa (1913-16, in Cuccu, 2004, lll. 8), di marcato gusto liberty; le illustrazioni per il Giornale d’Italia, firmate Silem (Melis, al contrario) esposte al palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1913, in cui figure dell’immaginario isolano emergono da campiture piatte al nero, che già prefigurano la successiva fioritura della xilografia sarda.

Nel 1916 partecipò alla I Esposizione artistica sarda, realizzata a scopo umanitario, che si tenne a Sassari, riunendo la comunità artistica isolana. Melis disegnò il manifesto promozionale ed espose il dipinto L’ucciso (Altea - Magnani, 1995, p. 166, ill. 108), composizione dolente e livida ispirata alla poesia di Sebastiano Satta.

Il soggetto (il cadavere di un uomo giacente su un carro trainato da buoi e guidato da un lugubre incappucciato), benché di tema sardo, acquistò, in tempo di guerra, valore universale e riscosse gran successo: la pittura fu esposta ancora nel 1917 a Milano (galleria Cova), infine nel 1921 a Roma (I Biennale), prima di confluire in collezione privata.

La guerra ebbe come indiretta, positiva conseguenza, quella di convogliare l’intelligencija sarda intorno alle idee di autonomia e di riscatto sociale; gli artisti, che erano in maggior parte esponenti della migliore borghesia isolana, risposero in forze a tali proclami identitari. In adesione a tali istanze, Melis fu un cosciente propugnatore della necessità per gli artisti di richiamarsi, per accedere a testa alta nella modernità, alla sintetica asciuttezza dell’artigianato sardo, esortando i colleghi a pescare nel grande repertorio di forme popolari per creare una nuova arte di popolo. Questa linea di ripresa colta della tradizione artigianale isolana fu vincente per alcuni anni sulla ribalta nazionale, con mostre, rassegne, articoli sulla stampa di settore.

In tale temperie culturale, nel 1919 Melis divenne direttore artistico della giovane Rivista sarda, edita a Roma e diretta da Pantaleo Ledda e Giovanni Russino. Melis chiese da subito la collaborazione di numerosi artisti, sardi e non (vi figurò anche Cambellotti), e studiò una veste grafica ricercata e nuova, geometrizzante e spigolosa, manifestamente derivata, nei partiti decorativi, dai manufatti popolari. La novità di Rivista sarda spianò la strada a Melis per collaborazioni editoriali di largo pubblico, come quella con il periodico femminile La Donna e con Il Giornalino della domenica diretto da Vamba (Luigi Bertelli), in cui già dagli anni Dieci erano attivi numerosi disegnatori sardi, da Giuseppe Biasi a Primo Sinopico (Raoul Chareun), al minore dei fratelli Melis, Pino.

Negli anni Venti Melis, ormai affermato nel mondo della comunicazione, si dedicò con impegno alla decorazione di interni e all’allestimento di esposizioni temporanee.

Nel 1921 ornò la sala da ballo della casa d’arte Bragaglia, a Roma, con un lungo fregio festoso e colorato, raffigurante un ballu tundu, la tipica danza popolare sarda. Due anni dopo allestì la sezione sarda alla I Biennale delle arti decorative di Monza, curata dall’architetto Giulio Ulisse Arata con Gavino Clemente, e articolata in varie sale che presentavano, senza gerarchie apparenti, oggetti artigianali e opere di artisti isolani, tra le quali alcune ceramiche di F. Ciusa e altre del fratello Federico, oltre ad alcuni pannelli ornamentali dipinti da Sinopico e Melis medesimo. La mostra, che fu poi ripetuta a Roma al palazzo delle Esposizioni, suscitò l’interesse per la produzione artigianale isolana di buona parte della critica nazionale, contribuendo in tal modo a un rilancio consapevole di un settore che poteva stimolare lo sviluppo della società sarda più emarginata. Nel 1925 Melis partecipò ancora alla Biennale monzese; infine, nell’ultima edizione, nel 1927, soppresse le sezioni regionali, Melis ebbe una sala personale, in cui egli propose (in un allestimento scenografico sui toni della notte) la sua nuova produzione di ceramiche dipinte e invetriate, ispirate spesso a temi sardi. Si ricorda Graziarosa, elegante e stilizzata maiolica che rappresenta una giovane sarda velata, ancora di pieno gusto déco (Cuccu, 2004, lll. 110) e i vasi con figure plastiche di animali che riecheggiavano, in chiave geometrizzante, analoghi lavori di Cambellotti.

Sulla scia di questi raggiungimenti, già nel 1925 egli fu incaricato di ordinare la sezione sarda alla Mostra degli amatori e cultori di Roma dove espose il dipinto La regina saracena; quindi nel 1927 allestì la sala delle tre province sarde alla Mostra del grano a Roma, palazzo delle Esposizioni, conferendo alla bandiera dei quattro mori un’inattesa centralità visuale di notevole impatto.

Risale al principio del 1928 il Nido delle sirene, ambiente di tema marino decorato con pitture e arredi: presentato per la II Mostra di arte marinara tenutasi a Roma, palazzo delle Esposizioni.

Nel 1929, nelle stesse sale partecipò ancora con un allestimento importante: il II Salone internazionale dell’automobile, sponsorizzato dalla FIAT, in cui Melis realizzò (con ironia e tratto sagace) le pitture parietali, paragonando il rapido mondo dell’automobile alla lenta vita rurale, rappresentata da un’arcaica Sardegna a trazione animale.

Tra gli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta Melis fu molto attivo: parallelamente al lavoro di progettista di decorazioni effimere, infatti, intensificò l’attività espositiva di pitture (1930, XII Biennale di Venezia; 1931, I Quadriennale di Roma), ma soprattutto approfondì la lavorazione della ceramica, raggiungendo apici di vera maestria tecnica, quali la cottura degli smalti a terzo fuoco. Sul finire degli anni Venti queste ricerche policentriche lo condussero ad aprire a Roma una bottega di arte applicata la "M.I.A.R." (Melis Imprese Artistiche Romane), con sede in Via Sabotino 31, dove, oltre ad accuparsi di decorazione per interni produce anche alcuni manufatti in ceramica, manufatti spesso marcati con l'acronimo "CAMM - Roma" (Ceramica Artistica Melchiorre Melis - Roma).

Il rinnovamento delle arti connesso all’ormai maturo regime fascista coinvolse Melis, oltre che nelle arti applicate, anche nella grafica pubblicitaria, campo in cui l’artista ottenne commissioni prestigiose e generale apprezzamento per la sua impostazione originale; in tal senso si ricordano il francobollo chiudilettera e il manifesto commemorativi dell’esibizione aeronautica dell’8 giugno 1930 (Cuccu, 2004, lll. 126 s.).

Sulla base di questi presupposti, corroborati da una stima cordiale, nel 1934 il governatore della Libia, Italo Balbo affidò a Melis il compito di riorganizzare l’antica Scuola musulmana di arti e mestieri di Tripoli.

Trasferitosi in Libia, Melis si appassionò alla nuova impresa e, constatata la scarsità di produzione ceramica locale, promosse l’apertura di una nuova sezione della scuola dedicata alla ceramica, la Scuola artigiana di ceramica libica. In pochi anni, con la sua guida progettuale, la scuola fu in grado di produrre oggetti e pannelli ceramici ornamentali di buon livello, offrendo dunque un importante servizio alla comunità locale che era solita importare dalla Tunisia le maioliche per arredo; nel 1937 a scopo di réclame allestì con decori ceramici un caffé-concerto nella piazza di Sūq el-Mushir, a Tripoli.

Le ceramiche tripoline vengono replicate da Melis nella manifattura di Vietri e presentate nel 1940 con molti onori alla I Triennale d’Oltremare a Napoli e si rivelano molto interessanti: esse nascono come sintesi di stili e tradizioni esecutive di differenti aree del Mediterraneo, dalla Spagna mozarabica alla Sardegna. Intanto, in ambito coloniale Melis operava anche come grafico pubblicitario, mentre promuoveva nella madrepatria manufatti della scuola (1939, IX Mostra dell’artigianato a Firenze) e suoi personali (1938, galleria Palladino a Cagliari).

Durante un breve soggiorno romano conobbe la portoghese Anna Leao, che sposò nel febbraio 1938; dall’unione, presto fallita, nacquero i gemelli Marcello e Francesco.

Il conflitto mondiale, con la morte di Italo Balbo e la perdita della Libia, spinse Melis a rientrare stabilmente a Roma nel 1942, dove ottenne uno studio a Villa Strohl-Fern. Negli anni più duri della guerra, peraltro, si rifugiò a Bosa, alla ricerca di una qualche serenità. Il primo dopoguerra fu un tempo malinconico e di ripensamento per Melis, che pagava certo una chiara compromissione con il regime fascista e il superamento, di colpo, di un’epoca, quella della rivisitazione delle tradizioni popolari, che gli aveva fornito le ragioni dell’arte e una certa notorietà: Melis si ritirò a vita privata, dedicandosi prevalentemente alla pittura a olio. Nel 1947 conobbe Maria Perfetti, che fu sua moglie dal 1960 e con la quale ritrovò la stabilità affettiva e le energie creative.

Nel 1949 a Venezia fu tra gli espositori, con il dipinto Beduina al mercato, della Mostra d’arte moderna della Sardegna (Opera Bevilacqua La Masa; nel 1950 a Roma, Galleria nazionale d’arte moderna): la linea critica della mostra tendeva a comparare la civiltà nuragica, documentata dagli esili bronzetti, all’arte contemporanea. Se debole si rivelò tale proposta estetica, per Melis fu ugualmente illuminante: egli riprese con vigore a modellare la ceramica, ispirandosi alla statuaria votiva nuragica, ma accendendola di cromie vivaci e moderne. Nel 1951 la città di Sassari gli conferì il premio per la pittura e, nella sede della Democrazia cristiana, si tenne una vasta antologica di pittura e ceramica. A Roma fu da allora e sino al 1965 docente di ceramica presso la Scuola d’arte di via Conte Verde: l’insegnamento gli fu congeniale e gli fornì nuovi spunti, in particolare la ripresa della pratica del disegno per l’artigianato. Nel 1965 costretto a lasciare lo studio di villa Strohl-Fern, si trasferì nella "casina" di Raffaello in Piazza di Siena, dove si dedicò alla sola pittura, di prevalente soggetto sardo, che presentò con regolarità in mostre personali.

Melis morì a Roma il 14 dicembre del 1982.

Bosa custodisce nel Museo di Casa Deriu una preziosa ed esaustiva raccolta di opere di Melkiorre Melis, dalle pitture alla grafica, oltre a un gran numero di materiali di archivio.